4.1.09

Tabù

E' sorprendente e incomprensibile la potenza dei tabù.

Nel dibattito politico di questi tempi, si fa un gran parlare di limitatezza delle risorse e di distruzione dell'ambiente. Il fenomeno mi pare chiaro e semplice: aumento della popolazione e aumento del suo tenore di vita. Sono questi i due fattori che autorafforzandosi espandono i consumi delle risorse naturali e portano con rapidità esponenziale l'ambiente alla distruzione.

Che fare ? Le risposte date sono tre: ricerca di altre fonti di energia, riduzione dei consumi, con iniziative dal basso per una vita più frugale, e infine negazione del problema.
Prescindendo dalla terza irresponsabile opzione, trovo sensate le altre risposte, alternativa l'una e limitativa l'altra. Probabilmente sono combinabili, ma temo purtroppo che non servano ad una rapida soluzione del problema.

La ricerca di fonti alternative è impegnativa e sembra richiedere più tempo di quello disponibile, prima che il danno all'ambiente sia irreversibile.
La risposta limitativa, consumiamo meno, si presenta come rinunciataria e quindi poco popolare. Inoltre mette in discussione implicitamente il sistema economico dominante, con la sterile gioia dei nostalgici di vecchi miti rivoluzionari bocciati dalla storia, e lasciandoci in concreto, almeno nel breve termine, senza orientamenti alternativi circa la organizzazione della vita economica collettiva.
Esperienze di nicchia sono possibili e già praticate, ma non sembra la soluzione su larga scala per l'immediato.
Tutto ciò avvantaggia la terza opzione, la rimozione del problema, che in realtà è solo una rinuncia alla responsabilità, che ha però la forza della mancanza di alternative credibili.

Forse la soluzione limitativa andrebbe approfondita. Mi pare una risposta sbrigativa, ad occhi chiusi, senza aver ben chiarito la situazione. Colpevolizza, insinuando odiosamente che siamo degli ingordi. C'è del vero, ma ignora il fattore principale del degrado da iperconsumo: forse siamo semplicemente troppi !

Questa mi pare la risposta più diretta e corretta al problema, ma nessuno la formula. Rarissimi nei media interventi che contengano questa diagnosi e formulati con circospezione e rassegnazione.
Eppure porterebbe a soluzioni meno antipatiche e più semplici: il controllo delle nascite.
Mi sembra un caso classico di autocensura del pensiero, di tabù appunto. Meglio la fine della specie umana e del pianeta, che aprire gli occhi su questo aspetto della questione.
Incredibile ! Terrorizza tutti. Perché ?

In Italia viene subito da pensare alle ovvie resistenze della Chiesa cattolica. Ma ci siamo abituati a queste resistenze, che riguardano praticamente ogni questione sociale.
Questo fattore pur importante non spiega la diffusione del tabù pressoché ovunque, anche dove la Chiesa è ignorata.
Ritengo che la resistenza principale sia la fondata convinzione che il sistema economico, così come è regolato, subirebbe influssi sgraditi, dalla riduzione della mano d'opera conseguente ad interventi limitativi delle nascite.
Da qualche parte ho letto che nell'Europa del seicento, dopo che una epidemia di peste ridusse fortemente la popolazione, il livello economico della classe lavoratrice (artigiani, contadini, ecc.) ebbe una improvvisa impennata. La retribuzione del lavoro aumentò notevolmente, a causa della forte riduzione della mano d'opera, portando grande beneficio economico agli interessati e meno ovviamente alle classi che del lavoro altrui si servivano.
Forse gli industriali paventano uno scenario simile e boicottano la prospettiva, ignorandola nel dibattito sui media che essi controllano.
Quindi il tabù deriva in definitiva dal veto dei detentori dei media e dalla conseguente incapacità dei cittadini di sviluppare e diffondere un pensiero autonomo, non preparato, diffuso e sostenuto dai media. Tutto qui.

Peccato davvero.
Eppure qualche passo verso soluzioni sgradite al sistema produttivo, ma utili all'ambiente, è stato fatto, in un ambito diverso, ma analogo e strettamente connesso. Mi riferisco al trattato di Kyoto, un accordo internazionale sulle emissioni di gas.
Un passo significativo. Congegnato pragmaticamente e quindi votato al successo pratico, magari non immediato.
Anzichè basarsi su velleitari divieti e sanzioni, che mai avrebbero funzionato, si regge su accordi spontanei che prevedono compensazioni in caso di abusi. Gli eccessi di emissioni danno luogo ad equivalenti esborsi.
Ricordo quando negli anni sessanta aprirono a Firenze i primi supermercati. La gente portava all'auto la spesa e lasciava il carrello in mezzo alla strada. Tutti, proprio tutti; ovviamente, aggiungerei, conoscendo gli italiani. La conseguente paralisi del traffico non era sufficiente a cambiare abitudine.
I gestori dei supermercati ebbero grande buon senso ed un guizzo di genio. Anziché mettere cartelli con divieti e sanzioni, come avrebbe fatto una amministrazione pubblica sortendo un effetto nullo, introdussero un compenso di 50 lire a chi riportava i carrelli al deposito.
Non credevo ai miei occhi ! Immediatamente il fenomeno cessò, completamente. Per sole 50 lire tutti i fiorentini diventarono civili.
Per questo ritengo che soluzioni di questo genere siano accettabili ed efficaci a medio-lungo termine.

Un trattato internazionale ed un conseguente accordo sulla espansione demografica sarebbe la soluzione più naturale ai problemi dell'ambiente. Un accordo intelligente, ovviamente, che consideri i vari aspetti delle condizioni demografiche dei vari paesi. Le soluzioni dovrebbero essere diverse per paesi giovani e paesi vecchi ed altri fattori andrebbero considerati. La demografia è una scienza matura e soluzioni razionali sarebbero facilmente individuabili.

Alcuni paesi più esposti hanno già sperimentato politiche demografiche, come Cina ed India, incontrando però l'ostilità dei paesi occidentali, specie europei, ottusamente benpensanti, che invece di ringraziarli li hanno stupidamente criticati in nome dei cd diritti civili, dando prova di incredibile miopia.
Vecchi fantasmi poi, l'eugenetica automaticamente associata al nazismo, eccitano le menti fragili e attivano i demagoghi.

Quali criteri dovrebbe ispirare un ipotetico accordo internazionale sul controllo delle nascite. Ovviamente un accordo risentirebbe di tutti gli interessi e condizionamenti culturali. Quindi è impossibile rispondere in astratto.
Ma, tanto per gioco, possiamo chiederci quali sono le quantità giuste di una popolazione, o almeno quali le considerazioni da fare in merito.
Ne vedo almeno due.

Confronto tra specie.
La specie umana, anche se lo ha dimenticato e non intende ricordarselo, è una delle tante specie in cui si manifesta la vita, Gaia. Una Terra equa darebbe spazio equivalente a ciascuna specie, naturalmente specie in libertà. Non possiamo conteggiare le specie in cattività, cibo dei carnivori umani.
In genere si parla di popolazioni animali in termini di migliaia. Invece per la specie umana si parla di milioni, anzi miliardi. Sei zeri ci dividono dalle altre specie e dovrebbero turbarci.

Paesi virtuosi.
Innumerevoli sondaggi ci notificano il grado di benessere/malessere delle diverse società. Restando in Europa, possiamo notare che i paesi ritenuti giustamente più civili, confortevoli e appetibili, sono quelli meno affollati. Penso ai paesi scandinavi, diffusamente ritenuti modelli da seguire. Due stati come Norvegia e Italia, simili in estensione, differiscono per popolazione di ben uno zero: 6 --> 60 milioni di abitanti. Una differenza enorme che dovrebbe far riflettere.

Questa dovrebbe essere la strada da seguire se si usasse il pensiero cognitivo, la razionalità, nell'affrontare questi problemi. Sembra invece che ci si muova utilizzando il cervello limbico, emotivo, a suon di tabù.

Mostri

Siete tutti mostri o lo sarete presto. Non si scappa.
La casta dei governanti, politici e giornalisti, vi ha messo con le spalle al muro.
Quotidianamente qualche disgraziato, che ha la sfortuna inevitabile di viaggiare nelle straducole italiane, finisce per investire qualche altro disgraziato che ha la sfortuna inevitabile di andare in bicicletta, o in motorino, o a piedi, nelle straducole italiane. E' matematico, un giorno toccherà anche a voi, è solo questione di tempo.

Dopo la estemporanea e miracolosa eccezione delle prime ed ultime autostrade degli anni sessanta, gli amministratori non hanno mai costruito, né progettato alcunché. Sono poi arrivate le automobili di massa ed ecco tutti costretti a muoversi pericolosamente nelle ex straducole di campagna, nate per le carrozze e giusto asfaltate.
Viene da sospettare che l'inerzia della PA sia perfidamente voluta e pianificata. Le straducole in sé e la segnaletica confusa, incoerente e incomprensibile, sembrano tante tagliole per l'automobilista-preda: impossibile non contravvenire a qualcosa e l'efficiente (questa sì) PA esattrice (vigili, autovelox. ecc.) riempiono le casse senza sforzo. Pubblica rapina, come ormai molti ritengono.

Ma ancora più drammatico è il prezzo che paghiamo. Autotreni che travolgono bambini che giocano a palla ai bordi delle straducole e inevitabilmente vi sconfinano. Come può un camionista bloccare un veicolo pesante in pochi metri, di fronte ad un ostacolo imprevisto ?

Ed ecco la casta dei giornalisti che interviene prontamente a difesa di quella dei politici, inventando il mostro quotidiano e così oscurando le fragili menti degli italiani. Il povero camionista, magari pure straniero, è linciato dai quotidiani come mostro. Se poi non si ferma subito perché terrorizzato (come non esserlo in questo clima di caccia alle streghe ?), scatta la caccia al pirata.

Purtroppo qualche squilibrato c'è davvero alla guida di automobili: la casta ne approfitta e li usa bene, con i media che controlla, facendo di ogni erba un fascio. Così con un colpo solo si libera delle proprie responsabilità, che scarica sulle spalle degli automobilisti, e trasforma questi da vittime in colpevoli. Il gioco è fatto.
Nell'informazione ad ogni incidente è associata automaticamente, pregiudizialmente, la spiegazione "eccesso di velocità", prima ancora che se ne sappia qualcosa di preciso, ammesso che indagini serie avvengano.

In definitiva i veri mostri non sono i guidatori, bensì gli amministratori che ci costringono a viaggiare in questa situazione di estremo pericolo. Loro sono i responsabili, i mandanti di di tutti questi eccidi e dei nostri guai. Basta confrontarsi con i paesi vicini per aprire gli occhi e rendersi conto della truffa e della beffa che subiamo e della gravità della situazione in cui ci muoviamo.
La voce dei cittadini dovrebbe essere la stampa ed invece nò. La stampa italiana (che lo stato finanzia) è la fidata e complice voce della classe politica ed il cittadino è il solo bersaglio e vittima, il capro espiatorio.
Mostro.

P.S.
Sicurezza stradale al microscopio,
infortunisticastradale.blogspot.com, 4 gennaio 2009.
Ogni anno cinquemila persone muoiono in Italia a causa degli incidenti stradali, una ogni due ore circa. La categoria di strada più pericolosa è senza dubbio quella urbana dove si verificano il 44% delle morti. Un altro 46% perde la vita sulle statali, regionali, provinciali e comunali extraurbane, mentre solo il 10% in autostrada. La tipologia di strada più letale è quella della carreggiata a doppio senso, in cui si verificano il 76% dei decessi. Le rilevazioni su cui si costruiscono le statistiche ufficiali fanno emergere, come causa quasi assoluta, il comportamento di guida scorretto del guidatore (95%)[2]. In tante sere passate a studiare dati sugli incidenti, non ho trovato approfondimenti sullo stato di gestione delle strade da parte dei responsabili.

Salute Europa / News, 21/10/2008

In Italia il tasso di mortalità per incidente stradale, pari a 95 morti ogni milione di abitanti, è quasi doppio rispetto a quello di Paesi come Gran Bretagna, Olanda e Svezia , dove il tasso è pari a 50 morti per milione di abitanti.

1.1.09

La fuga dei cervelli

Ma lasciamoli andare !

Anzi dobbiamo essere grati che i nostri giovani studiosi più dotati riescano a trovare paesi ospitali, che danno loro tutto il necessario per specializzarsi e realizzarsi professionalmente.
Se così non fosse, talenti umani andrebbero sprecati, visto che in Italia non avrebbero possibilità di coltivare la loro professionalità e men che mai di esercitarla.

Un ottuso campanilismo (o una furbesca ipocrisia per stuzzicare la plebe) fa schiamazzare politici e giornalisti nostrali, che recriminano la sottrazione di patrimonio nazionale da parte di avidi e astuti paesi stranieri, a danno di un paese, il nostro, distratto e generoso. Facciamoli tornare, anzi rubiamo i loro cervelli, qualcuno incita.

La triste realtà è che questo paese non solo non sa preparare i propri ricercatori, ma non saprebbe neanche che farsene, non sarebbe neanche in grado poi di utilizzarli. Non a caso l'industria italiana non finanzia la ricerca, come invece avviene altrove.
Una lacuna culturale ci nega una società moderna in cui la scienza giochi un ruolo primario, come avviene nell'insieme dei paesi occidentali, cui ci illudiamo di appartenere. Così purtroppo non è, all'occidente ci lega poco più di una semplice contiguità geografica. Nella nostra opinione pubblica l'ottica scientifica non è popolare, anzi suscita diffidenza, surclassata da quella fideista cattolica.

Quindi non conviene neanche porsi l'obiettivo di trattenere i nostri cervelli, investendo nella scuola. Creeremmo professionisti sprecati, che poi dovrebbero comunque andarsene all'estero a lavorare.
Lasciamo allora che se ne vadano subito, così almeno evitiamo la spesa improduttiva del loro addestramento e soprattutto lasciamo a loro la possibilità di ambientarsi in giovane età nei paesi dove comunque finirebbero a lavorare e vivere.
Ci consolerà vederli tornare da pensionati illustri a ricoprire cariche onorifiche e a raccontarci cos'è la ricerca, negli infiniti convegni che nel paese delle chiacchiere abbondano.
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