La ricerca scientifica e tecnologica italiana vista dall'interno. Impressioni di un ricercatore pubblico.
Qual'è il paradigma della ricerca scientifica italiana ?
(Da Wikipedia) Nel linguaggio comune un paradigma è un modello di riferimento, un termine di paragone. In filosofia della scienza un paradigma è la matrice disciplinare di una comunità scientifica. In questa matrice si cristallizza una visione globale del mondo in cui opera e del mondo su cui indaga la comunità di scienziati di una determinata disciplina.
Il modello seguito dal ricercatore italico negli anni sessanta e settanta era il notabile. Quello che si muoveva come un pesce nella burocrazia che governava la ricerca pubblica, che parlava meridional-forbito e sapeva stemperare contrasti e tensioni con curiali battute, che sapeva dare la leccata strategica al dirigente romano di passaggio, ricavandone finanziamenti premiali.
Poi la febbre caotico-rivoluzionaria degli anni settanta, le brigate rosse, il delirio maoista, hanno colpito tutto il paese e quindi anche gli istituti di ricerca. Ne è emerso il modello sindacal-rivoluzionario: né con lo Stato, né contro lo Stato.
Ricordo quotidiane e interminabili assemblee. Su cosa ? Di che si parlava ? Mah ? Della "rihaduta su ì sociale" della ricerca, forse. E la demolizione dei ruoli professionali, la rimozione dalle etichette sulle porte dei titoli di studio, prima esibiti accanto ai nomi con tronfio spirito notabile e ora spazzati via.
Mao mandava gli intellettuali nelle campagne a rieducarsi e noi mandavamo il ricercatore e in primis il direttore a rigenerarsi nelle mansioni più umili. Il direttore-centralinista, che con sottile e incompresa ironia teneva le riunioni nella stanzetta dei telefoni, durante il suo turno, nelle pause tra una telefonata e l'altra, mentre la povera centralinista non-vedente, comprensibilmente preoccupata, era allontanata a non far niente altrove.
Poi finalmente è sceso in campo il ricercatore-imprenditore o per meglio dire faccendiere. Negli anni novanta i finanziamenti alle spese vive della ricerca sono scesi fino alla totale estinzione, lasciando le sole coperture alle spese fisse delle strutture e gli stipendi al personale.
Così è scattata l'italica arte di arrangiarsi, nella totale assenza di iniziative dell'ente centrale e nel più totale vuoto di ruoli e regole. La competizione, prima per la gloria ed il potere interno, ora era anche per il denaro, per il procacciamento dei finanziamenti necessari alla continuazione delle proprie attività di ricerca. Competizione feroce quindi, senza più pudori. Curiosamente in tale bellicosa situazione le ricercatrici si sono rivelate più agguerrite e sgomitanti dei ricercatori, avviando così una vigorosa stagione rosa della ricerca italica.
Il ricercatore-sindacalista si è evoluto in ricercatore-politico, attivista di partito, di casa nelle amministrazioni locali, con doppia carriera, politica e scientifica, disinvoltamente combinate. L'ingresso in Europa inoltre ha dato vita all'ultima incarnazione, il ricercatore-euro-faccendiere, moderna versione del ricercatore-notabile, prezioso masticatore di lingua inglese ed esoterico esperto in e-bureaucracy.
E il ricercatore-ricercatore ? Già, questo non l'ho mai visto. Altrove sì, all'estero, ma una volta anche in Italia, veramente, in un piccolo e vivace istituto friulano. Ricordo un'atmosfera californiana, di intensa socialità ed euforia e una sala (importante, non uno scantinato) dove troneggiava un tavolo da ping pong, meta di continue visite. Rimasi molto stupito. Cosa c'entrava con la ricerca ? E invece sì, ne era il cuore, il cuore giocoso. Lì, come in un tempio, tutti si incontravano e scaricavano la pulsione alla competizione, che della ricerca è l'anima. Anima creativa e distruttiva, a seconda di come è vissuta e gestita. Lì ho capito che l'essenza della ricerca scientifica è appunto il gioco, la leggerezza, il piacere di scoprire o inventare, insieme agli altri. La 'gaia scienza'.
Ed il senso del gioco è assente in generale in noi italiani, purtroppo. Ridiamo molto e facciamo molto ridere, è vero, ma questo non è gioco. E' irriverenza, disprezzo, tattica relazionale, ma non gioco. Basta guardare il calcio per capirlo. A mio modo di vedere il calcio dovrebbe essere attività ludica senza secondi fini, divertente da praticare e vedere, nel rispetto spontaneo, sincero e leale di un sistema di regole, per vincere sì, ma soprattutto per il piacere di giocare bene, sempre meglio e meglio degli altri se possibile.
Io vedo questo nel calcio brasiliano, olandese, inglese, anche se qui la bellicosità a volte prevale sul gioco, ma sempre con lealtà. Tutto cambia nel calcio italico. Qui l'obiettivo di vincere prevale su tutto, a tutti i costi, sacrificando lealtà e rispetto delle regole e soffocando completamente il senso del divertimento. Più che giocare si contrasta e distrugge il gioco altrui. Tranne rari, brevi, felici momenti di entusiasmo, in genere quando tutto sembra perduto e quindi si gioca il tutto per tutto senza paure e tattiche, trovo il calcio italiano noioso, spesso sgradevole.
E così è anche per la ricerca italiana.